Segnaliamo con piacere un articolo dell’amico professor dott. Massimo Gambardella (docente di latino in Piemonte), pubblicato su Positanonews, in celebrazione degli ottanta anni dalla scoperta dell’antica Villa romana marittima di Minori (SA).
MINORI (COSTA D’AMALFI): Era l’aprile dell’anno 1932. Più o meno proprio in questi giorni un piccolo cantiere edile stava per trasformarsi in un rinvenimento eccezionale, forse non totalmente inatteso, almeno per alcuni. Ma andiamo per ordine, partendo dai fatti.
Tra le carte conservate presso l’archivio della Direzione dei Musei Provinciali di Salerno si possono leggere alcuni interessanti documenti relativi all’accaduto.
Non mi è stato possibile rintracciare un’indicazione più precisa circa la data, ma almeno i nomi di alcuni protagonisti sono segnalati nelle carte dell’epoca. Innanzitutto, il muratore capomastro Luigi D’Amato; oltre a lui, un esposto datato 10 ottobre 1936 indica come scopritori, forse non in prima battuta ma come persone in varia misura coinvolte nella vicenda, Alfonso Sammarco (fu Alfonso), proprietario del suolo in cui erano in corso dei lavori di scavo, gli operai Gerardo Proto (fu Giovanni) e Salvatore Proto (fu Giuseppe) e il mastro muratore Domenico D’Amato. Più o meno la scoperta si determinò per la più classica delle casualità: ne rievoco qualche particolare attraverso le parole del D’Amato stesso, contenute in una lettera del 23 dicembre 1936. I toni sono epici, come si conviene: “In un giorno di splendida aurora e nell’intensa volontà di lavoro, mentre raccoglieva materiali per tale costruzione [si tratta di un manufatto murario in costruzione sul suolo del Sammarco], sentì sotto un’eco che annunziava qualche cosa d’importanza: a tale impressione egli cercò subito un piccone ed incominciai [sic!] a rompere la vecchia fabbrica facendo un foro di 50 cent. quadrati all’incirca, ove con una lunga scala all’uso contadino scendette giù al grande salone nascosto, informandone immediatamente l’autorità locale ed a loro volta i Capi di Cot. On.le Provincia, i quali energicamente ne curarono i lavori di scavo”.
Il documento, al di là delle caratteristiche formali, è pure interessante perché contenente una supplica a che lo scopritore fosse preferito in qualche attività legata alla gestione del sito (“qualsiasi lavoro o assistenza”, si legge). Forse c’è da cogliere anche il segno di una situazione economica non florida per un paesino la cui principale ricchezza, i pastifici, segnavano il passo e il turismo era ancora di là da venire. In ogni caso, da quel momento iniziò la fase degli scavi e delle demolizioni: i primi riportarono alla luce, nel corso di alcuni anni, gli ambienti del piano inferiore e tracce del piano superiore, alcuni affreschi e qualche mosaico (oltre ad una serie variegata di reperti in parte conservati nell’attuale Antiquarium) e dimostrarono quanto l’insediamento romano fosse esteso nella valle del Reginna Minor. Si pensi che resti di ambienti romani sono stati rinvenuti anche nei pressi dell’attuale chiesa di Santa Lucia (per chi conosce il paese, ben più a nord rispetto al sito). Le demolizioni, poi, interessarono una serie di edifici che insistevano in particolare lungo i lati meridionale e occidentale del porticato.
Quella degli scavi è forse una pagina ancora da scrivere: ad esempio, quanto è stato perso (o nascosto!) con il successivo sviluppo edilizio del secondo dopoguerra? Ma non è questo l’unico interrogativo che non ha trovato risposta (se pur sarà possibile trovarne una). Nulla si sa circa l’identità del proprietario della villa. Da approfondire sarebbe anche la questione relativa all’uso di alcuni ambienti già prima del 1932. Come noto, le prime notizie relative all’esistenza di un edificio di età romana risalgono agli anni settanta del XIX, allorquando Luigi Staibano, componente della Commissione Archeologica di Principato Citra, attestò l’esistenza di terme (ancora oggi visitabili). Né va dimenticato che l’area in cui sorge la villa è indicata nei documenti e nelle carte ottocentesche come “località Grotte”, un chiaro segnale che alcuni ambienti erano stati presumibilmente già “scoperti” e usati come cantine.
La villa marittima risale al I sec. d. C.: ha dunque duemila anni di vita, ha i suoi acciacchi, come si conviene ad un vecchietto che ne ha viste tante. Merita le nostre cure e le nostre attenzioni. Merita di essere celebrata e conosciuta. E forse ulteriormente studiata. Per il momento ricordiamoci almeno della sua esistenza.
Un’ultima nota: esistono già degli studi sul sito archeologico e sarebbe opportuno che essi fossero raccolti nella Biblioteca comunale (se ancora non è stato fatto), accanto alla documentazione fotografica e audiovisiva esistente. Mi permetto di segnalare ai più curiosi una chicca: sul sito internet dell’Istituto Luce è possibile rintracciare un brevissimo filmato sui lavori di scavo risalenti agli anni Trenta.
Un punto di partenza obbligato, forse, per rendere attuali questi elementari auspici.
Dott. Prof. Gambardella Massimo